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Al promissario che ignora l'altruità del bene non deriva nocumento fino alla scadenza del termine

Cassazione civile sez. un. - 18/05/2006, n. 11624


"In ordine alle modalità di adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, nella giurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, per la cui composizione la causa è stata assegnata alle sezioni unite.

In prevalenza, questa Corte si è orientata nel senso che la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure facendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, in quanto l'art. 1478 c.c. - relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al preliminare - dispone che il venditore "è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore", il che può ben avvenire anche facendo sì che il terzo, al quale il bene appartiene, lo ceda egli stesso al promissario (v., tra le più recenti, Cass. 6 ottobre 2000 n. 13330, 23 febbraio 2001 n. 2656, 27 novembre 2001 n. 15035, 5 novembre 2004 n. 21179, 24 novembre 2005 n. 24782).

Talvolta si è però deciso che l'obbligazione in questione deve invece essere adempiuta acquistando il bene e ritrasferendolo, in particolare nel caso in cui l'altra parte non fosse stata consapevole dell'altruità, poichè l'art. 1479 c.c. - anch'esso dettato per la vendita definitiva, ma estensibile a quella preliminare - abilita il compratore a "chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l'ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà" (v. Cass. 5 luglio 1990 n. 7054, 10 marzo 1999 n. 2091, relative, rispettivamente, a un contratto definitivo e a uno preliminare di vendita di cosa altrui).

Ritiene il collegio che debba essere seguito l'indirizzo giurisprudenziale maggioritario.

Stante la latitudine delle citate previsioni normative, non vi è ragione per escludere che la prestazione possa essere eseguita "procurando" il trasferimento del bene direttamente dall'effettivo proprietario, senza necessità di un doppio trapasso; il 2 comma dell'art. 1478 c.c., menziona bensì l'acquisto che eventualmente compia l'alienante, nel caso di vendita (definitiva) di cosa altrui, ma come una particolare modalità di adempimento, alla quale eccezionalmente riconnette l'effetto di far diventare senz'altro proprietario il compratore.

Nè una diversa soluzione può essere adottata per il caso in cui il promissario avesse ignorato, al momento della conclusione del preliminare, la non appartenenza del bene al promittente. Il disposto dell'art. 1479 c.c., che consente al compratore in "buona fede" di chiedere la risoluzione del contratto, è coerente con la natura - di vendita definitiva - del negozio cui si riferisce, destinato, nell'intenzione delle parti, a esplicare quell'immediato effetto traslativo che è stabilito dall'art. 1376 c.c., ma è impedito dall'altruità della cosa: altruità che invece non incide sul sinallagma instaurato con il contratto preliminare, il quale ha comunque efficacia soltanto obbligatoria, essendo quella reale differita alla stipulazione del definitivo, sicchè nessun nocumento, fino alla scadenza del relativo termine, ne deriva per il promissario. Dall'art. 1479 c.c., pertanto, non può desumersi che egli sia abilitato ad agire per la risoluzione - e quindi ad opporre l'exceptio inadimpleti contractus - se l'altra parte, nel momento in cui vi è tenuta, è comunque in grado di fargli ottenere l'acquisto, direttamente dal proprietario.

D'altra parte, il ritenere esatta tale modalità di adempimento è in sintonia con l'essenza e la funzione del contratto preliminare di vendita, quali sono state individuate nelle più recenti elaborazioni dottrinali, che hanno superato la concezione tradizionale dell'istituto e che qualche riflesso hanno avuto anche in giurisprudenza.

Il contratto preliminare non è più visto come un semplice pactum de contrahendo, ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il definitivo, sicchè il suo oggetto è non solo e non tanto un facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un sia pure futuro dare: la trasmissione della proprietà, che costituisce il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Se il bene già appartiene al promittente, i due aspetti coincidono, pur senza confondersi, ma nel caso dell'altruità rimangono distinti, appunto perchè lo scopo può essere raggiunto anche mediante il trasferimento diretto della cosa dal terzo al promissario, il quale ottiene comunque ciò che gli era dovuto, indipendentemente dall'essere stato - o non - a conoscenza della non appartenenza della cosa a chi si era obbligato ad alienargliela.

Nè vale obiettare che l'identità del venditore, come i ricorrenti principali deducono, non è indifferente per il compratore, il quale può risultare meno tutelato, relativamente all'evizione e ai vizi.

In proposito, in consonanza con le menzionate opinioni dottrinali, la giurisprudenza si è orientata nel senso che la conclusione del definitivo, per tali profili, non assorbe nè esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a regolare i rapporti tra le parti, sicchè il promittente alienante resta responsabile per le garanzie di cui si tratta (v., da ultimo, Cass. 27 novembre 2001 n. 15035).

Si deve quindi affermare che il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario.

Alla stregua di questo principio, il ricorso principale va rigettato, dovendosi riconoscere che la Corte di appello correttamente ha ritenuto superfluo accertare se L.G.W. e V. T. fossero stati inizialmente ignari dell'altruità dell'immobile in questione, essendo anche in tale ipotesi ingiustificato il loro rifiuto di addivenire alla conclusione del contratto definitivo, dato che P.M. si era munita di una procura rilasciatale dagli effettivi proprietari del bene, che la abilitava a effettuarne la vendita in nome loro."


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