Va, in questa sede, evidenziato il diverso modo di operare della collazione e dell'azione di riduzione, anche quando la prima sia fatta per imputazione.
La riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, mentre la collazione, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile (Cass. n. 1481/1979).
La collazione opera sia nella successione legittima, sia nella successione testamentaria (Cass. n. 3012/2006).
Nessuna contrapposizione è, sotto questo profilo, proponibile fra collazione in natura e collazione per imputazione.
La collazione, in entrambe le forme in cui è prevista dalla legge (in natura e per imputazione) rappresenta un istituto preordinato dalla legge per la formazione della massa ereditaria, allo scopo di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento in senso relativo tra i coeredi in modo da far sì che non venga alterato il rapporto di valore tra le varie quote e sia garantita a ciascun coerede la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota.
La differenza tra i due modi di collazione consiste in ciò che, mentre quella in natura consta di un'unica operazione, che implica un effettivo incremento dei beni in comunione che devono essere divisi, la collazione per imputazione ne postula due, l'addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell'erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari, cosicchè soltanto nella collazione per imputazione, non in quella in natura, i beni rimangono sempre in proprietà del coerede donatario, che li trattiene in virtù della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l'equivalente pecuniario, il che di norma avviene soltanto idealmente (Cass. n. 2453/1976).
Insomma, con la collazione in natura il bene diventa, in termini reali, oggetto di comunione fra il donatario e gli altri coeredi: esso sarà diviso fra i coeredi insieme alle altre cose presenti nell'asse in ragione della rispettiva quota ereditaria (Cass. n. 4777/1983); con la collazione per imputazione è ripartito invece il valore della stessa donazione: attraverso il metodo dei prelevamenti o altro equivalente i coeredi non donatari conseguono sulla massa comune, in aggiunta al valore della quota quale sarebbe stata senza la collazione, anche il valore che loro compete sul bene donato in proporzione di quella stessa quota. Il bene donato, conferito per imputazione, rimane di proprietà del donatario (Cass. n. 25646/2008; n. 9177/2018).
Anche quando sia fatta per imputazione la collazione rimane distinta dalla riunione fittizia delle donazioni prevista dall'art. 556 c.c.. Entrambe lasciano i beni donati nel patrimonio del donatario, ma mentre la riunione fittizia resta comunque una pura operazione contabile, da cui può non derivare alcuna alterazione nel patrimonio dei donatari, se non sia lesa la legittima, la collazione attuata per imputazione si traduce comunque in un sacrificio a carico del conferente, il quale subisce il maggior concorso dei coeredi sui beni relitti.
In quanto la collazione obbliga i coeredi accettanti a conferire nell'asse ereditario i beni ricevuti con atti di liberalità, essa può raggiungere il risultato di eliminare le eventuali lesioni di legittima realizzati attraverso tali atti.
Si spiega probabilmente con questa constatazione la tesi, seguita da Cass. n. 1521/1980, secondo cui, nei rapporti in cui opera la collazione, la questione della riduzione di una liberalità lesiva non può sorgere se non quando il donatario sia stato dispensato dall'obbligo di conferire, "giacche, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull'eredità, senza necessità di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima".
La soluzione di giurisprudenza è criticata dalla dottrina sulla base della considerazione che non sempre il meccanismo della collazione è idoneo a far conseguire al legittimario la legittima nella sua integrità anche qualitativa.
Tale obiezione è stata recepita da Cass. n. 22097/2015 che ha ammesso il concorso dell'azione di riduzione con la collazione: "è sufficiente considerare, in proposito, che in caso di azione di riduzione di un legato o di una donazione di immobili, il legatario o donatario è tenuto a restituire i beni in natura (salvo le ipotesi di cui all'art. 560 c.c., nn. 2 e 3), senza avere la facoltà, riconosciuta invece dall'art. 746 c.c., al soggetto tenuto alla collazione, di procedere, invece che al conferimento in natura, all'imputazione del mero valore dell'immobile alla propria porzione divisoria. E' evidente, pertanto, che nel caso - ricorrente nella fattispecie in esame - di concorso di discendenti alla successione, pur potendo la collazione comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, la contestuale proposizione della domanda di riduzione non può ritenersi priva di ogni utilità: solo l'accoglimento di tale domanda, infatti, può valere ad assicurare al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per la imputazione del relativo valore".
In conclusione, il rilievo che la collazione riporta, a beneficio del coniuge o dei discendenti coeredi, la donazione eventualmente lesiva della legittima altrui fatta a uno di essi non fornisce argomento per negare al legittimario la tutela specifica offerta dall'azione di riduzione. Nello stesso tempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l'azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l'operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione. Si deve tuttavia fare una precisazione: mentre la collazione, qualora richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l'azione di riduzione, essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l'eventuale eccedenza, e cioè l'ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. n. 12317/2019).
Nell'analisi dei rapporti e delle interferenze fra collazione e azione di riduzione, si deve ulteriormente precisare che le donazioni fatte al coniuge e ai discendenti sono indistintamente soggette a collazione, ma sono nello stesso tempo soggette a riduzione solo quelle che, per essere ultime in ordine di tempo, abbiano intaccata la legittima (art. 559 c.c.). Le donazioni soggette a collazione, se lesive della legittima, sono riducibili nello stesso ordine e nello stesso modo delle donazioni in genere. Consegue che il problema del concorso fra collazione e riduzione non si pone in termini generali con riferimento a ogni donazione, fatta senza dispensa, al coniuge o al discendente, ma riguarda esclusivamente il caso in cui il legittimario sia nello stesso tempo, e con riguardo a una medesima donazione, legittimato in collazione e in riduzione. In questo caso, salvo il diritto del legittimario di contentarsi della tutela offerta dalla collazione (Cass. n. 12317/2019 cit.), i due istituti concorrono nei sensi sopra indicati.
cfr. Cassazione civile sez. II, 10/12/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28196
Avv. Luigi Delle Cave
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